Non è vero che le creature acquatiche siano immuni agli stimoli nocicettivi: i comportamenti e le risposte biologiche alle esperienze sgradevoli sono simili a quelli espressi dai mammiferi.

l fatto che i pesci non si abbandonino a imprecazioni “sonore” non significa che non provino dolore: un nuovo studio dell’Università di Liverpool – una revisione di passate ricerche sul tema, pubblicata su Philosophical Transactions of the Royal Society B – confuta questa diffusa convinzione, e dimostra che le creature acquatiche vivono le esperienze dolorose in modo non così diverso dai mammiferi.

DINAMICHE GIÀ VISTE. Secondo Lynne Sneddon, la biologa che ha firmato il lavoro, molte specie di pesci sono state osservate modificare il proprio comportamento in seguito a uno stimolo doloroso. Alcune diventano meno attive, altre perdono l’appetito, vanno in iperventilazione o strofinano l’area “offesa” come per massaggiarla.

Per esempio il Cymatogaster aggregata, un pesce persico marino che si nutre per suzione, mangia di meno dopo essere stato catturato all’amo e poi rilasciato. Se invece viene pescato in modo “indolore” e poi liberato, le sue abitudini alimentari non cambiano. I pesci rossi che ricevono scariche elettriche nell’area della vasca dove sono soliti nutrirsi eviteranno quell’angolo per i tre giorni successivi, memori dell’esperienza traumatica (perché no, lo span di memoria dei pesci rossi non dura 3 secondi).

SENSIBILI AI FARMACI. Quando alcuni pesci riportano ferite alla bocca, strofinano il muso contro l’acquario, massaggiandolo come facciamo con il piede dopo una botta al mignolino. Mentre il calore estremo ha un effetto negativo sul comportamento degli zebrafish, effetto che può essere ridotto dalla somministrazione di antidolorifici. L’efficacia dei farmaci nell’attenuazione di questi comportamenti conferma che anche le basi molecolari della percezione del dolore sono simili a quelle che conosciamo.

NEI LORO PANNI. All’origine dello scarso interesse verso questo tema c’è forse il fatto che uomo e pesci vivono in habitat diversi, e sono quindi esposti a diversi fattori dolorifici. Sulla Terra, la gravità ci tende trappole continue: i mammiferi rischiano di inciampare e cadere, o di precipitare giù da un albero. La vescica natatoria permette invece ai pesci di controllare il loro assetto, senza rischi di collisioni col fondale. La gravità non rappresenta, sott’acqua, un potenziale fattore dolorifico, ma sarebbe interessante – conclude Sneddon – indagare le sensazioni nocicettive dei pesci che vivono sul fondale marino.
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